In Sicilia storia e mito sono un connubio imprescindibile, miti bucolici e solari greci si intrecciano con i miti nordici forse meno solari ma altrettanto fantastici e magici.

 

Seguendo tale impronta, anche la piccola storia di Passopisciaro è attraversata da una leggenda dalle cui trame narrative si è preso spunto per la denominazione della nostra azienda.

 

Tra il Seicento e il Settecento, i luoghi su cui Passopisciaro sarebbe sorto, circa centocinquanta anni più tardi, erano infestati dal bandito Ciccu Zummu (Francesco Zumbo) e, dal suo compagno di malefatte, Testazza.

 

Il brigante era temerario a tal punto che, avendo saputo che il Capitano Giustiziere della Real Gran Corte di Randazzo aveva messo una taglia sulla sua testa, decise di giocargli una beffa.

 

Sequestrò un pescivendolo, si travestì dei suoi umili abiti, e con il paniere sotto il braccio si recò a Randazzo per vendere i pesci allo stesso Capitano Giustiziere.

 

Uscendo poi dal paese, il bandito prese in giro anche le guardie di sentinella alla porta Aragonese, raccomandando loro di arrestare al più presto quel famigerato brigante, per far sì che tutta quella zona potesse essere liberata dal terrore che il Zumbo quotidianamente incuteva.

 

Il brigante era talmente abile a cancellare le sue tracce, che rimaneva sempre il dubbio se la presenza dello Zumbo fosse stata apparizione o realtà.

 

Appena uscito da Randazzo, decise di svelare la sua vera identità al primo viandante che incontrò, e così si seppe dell’audace beffa giocata dal bandito castiglionese al Capitano Giustiziere.

 

Per evitare poi al vero pescivendolo la seccatura di essere arrestato, dato che ormai si era sparsa la voce del suo travestimento, Ciccu Zummu pensò bene di fargli la cortesia di ucciderlo: lo attese al varco nel punto dove la strada si biforcava per scendere verso il fiume Alcantara, e con fredda crudeltà lo uccise.

 

E così, per la ferocia del brigante Ciccu Zummu, il luogo prese il nome di Passopisciaro, cioè il passo del pescivendolo, in siciliano passu pisciaru, toponimo che ancora oggi porta e che nell’ottocento fu adottato dal nascente paesino.